Note:
“L’essere che non resta sotto se stesso, che non si presuppone a sé come un’essenza nascosta, che il caso o il destino sospingerebbero poi nel supplizio delle qualificazioni, ma si espone in esse, è senza residui il suo così, un tale essere non è accidentale né necessario, ma è, per così dire, continuamente generato dalla propria maniera.
……
Forse il solo modo di comprendere questo libero uso di sé, che non dispone però dell’esistenza come di una proprietà, è quello di pensarlo come un abito, un ethos. Essere generati dalla propria maniera di essere è, infatti, la definizione stessa dell’abitudine (per questo i greci parlavano di una seconda natura):etica è la maniera che non ci accade né ci fonda, ma ci genera. E questo essere generati dalla propria maniera è la sola felicità veramente possibile per gli uomini.”
(Giorgio Agamben “La comunità che viene” pg. 28)
“…Ciò implica che nel mondo post iudicium siano sparite insieme la necessità e la contingenza, queste due croci del pensiero occidentale. Esso è ora, nei secoli dei secoli, necessariamente contingente o contingentemente necessario. Tra il non poter non essere, che sancisce il decreto della necessità, e il poter non essere, che definisce la vacillante contingenza, il mondo finito insinua una contingenza alla seconda potenza,…esso può non non-essere…
per questo nulla potrebbe definire lo statuto della singolarità che viene meglio dei versi che chiudono una delle tarde poesie di Holderlin-Scardanelli:
(essa) si mostra con un giorno d’oro
e la compiutezza è senza lamento.
…….”
(ibid. pag38) |