Sognando Ouga

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Même père même mère, diretto da Alessandro Gagliardo, Julie Ramaioli e Giuseppe Spina, del gruppo indy siciliano Malastrada, sarà la sorpresa del Tek (si consiglia ai liceali “africani” dei Veltroni-tour). Perché è un film che sa collocarsi con rispetto dentro quello spazio geografico e culturale (così spesso molestato e violentato) senza paternalismi esotico-marines. Un film poetico rivoluzionario, eccitante e disperato, a cromatismi batik come se a dipingerlo fossero i bambini della Montessori d’era elettronica, che intreccia varie esplorazioni e avventure dell’occhio e della mente (un gruppo di italiani va in
Burkina Faso, ma solo uno di loro, un cooperante, sa davvero di che si tratta) con un inusuale amore per un territorio non più misterioso e fantasmatico del nostro, che sa affascinare e trasformare per la sua ricchezza, nonostante siccità, il corruttore Campaorè, la durezza dello zappare la terra, la messa fuori legge dei sindacati, lo sterminio degli oppositori politici e perfino la perdita, sul finale, di una chiave (di lettura?). Eppure, come ci spiega il titolo, i “viaggiatori per caso” sapranno risalire dalla notte allucinata verso una compassione intima e danzante e il film diventerà a poco a poco un lucido e commosso omaggio alla lungimiranza del presidente rivoluzionario, assassinato dal mondo ricco, Thomas Sankara. I cui testi, variamente e leggiadramente interpolati, e tagliati da altre voci off (diari di viaggio, interviste volanti, riflessioni,…) accompagnano come un refrain questa esplorazione enigmatica, mai coloniale…: “Devo avere la forza di capire – dice una donna che si incorpora in Sankara – che gli stessi diritti umani sono uno strumento degli imperialisti, a garanzia etica del loro sistema. Sono l’invenzione di un’ elite dalla doppia faccia che vuole mettersi nei panni di chi soffre. Un povero non pensa mai ai propri diritti”…
Il collettivo catanese di produzione dal basso o di questa Malastrada, sulla scia dei fratelli maggiori di Cane Capovolto, sta cambiando i connotati al nostro cinema indipendente, o meglio autonomo. Intanto è una unità mobile, legata a tensioni politiche transnazionali, più che a un territorio monoculturale imprigionante (si è pure trasferita per qualche anno a Marsiglia). Poi, produttivamente e distributivamente, è una struttura leggera e, più che autarchica, libera. Si autofinanzia infatti tramite meccanismi di cooperazione, e, attraverso la vendita diretta delle proprie produzioni su internet (ogni film € 10) può non ricorrere all’aiuto di chi interverrebbe, anche creativamente, e soprattutto pesantemente, sui propri lavori, in cambio di qualche saletta sparsaoff e off. E’ per questo che sta diventando un punto di riferimento pragmatico per giovani cineasti ultrà. 

Roberto Silvestri, Alias, il Manifesto, 3 Maggio 2008.

 

 

 

 

 

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